curiosità stroriche padovane  1°

L'OBBEDISCO DI GARIBALDI
FU PRONUNCIATO AL
PALAZZO D'AREMBERG-BENAVIDES

Garibaldi in cuor suo pensava di farcela, puntava verso Trento, le ultime battaglie erano state difficili, e i suoi sembravano sul punta di mollare, ma tutto sommato erano ancora li pronti a ripartire. Era il 9 agosto 1866 quando arrivo da Padova un telegramma cui il condottiero rispose abbassando il capo e rispettando la gerarchia. «Generale Garibaldi, considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell'armistizio per il quale si richiede che tutte Ie nostre forze si ritirino dal Tirolo. Generale La Marmora». Questo il testo del dispaccio che parti il 9 agosto, via telegrafo, dalla sede del comando militare nella città del Santo, sede della Stato Maggiore, insediatosi con Cialdini nel Palazzo Benavides poi divenuto d'Aremberg, in piazza Eremitani. Segui la risposta del generale, dispaccio n. 46, dall'ufficio militare di Bezzecca: «Comando Supremo Padova... Ho ricevuto dispaccio n. 1073. Obbedisco. Generale Garibaldi)). L'eroe dei due mondi combatteva da tempo; il 25 giugno aveva inviato dalla valle del Chiese dei volontari al forte di Caffaro per prenderlo e, nonostante una forte resistenza, lo ottenne; saputo che Rocca d'Anfo era minacciata aveva inviato il colonnello Corte, in un combattimento micidiale, in cui lo stesso Garibaldi entro in azione ferendosi a un piede e vincendo. Apprese la notizia della cessione di Venezia, proposta dall'Austria, che lo urto non poco considerata l'offesa alla dignità dell'Italia per il modo in cui era stata ottenuta. Con l'obiettivo di muovere verso Trento conquisto il forte dell'Ampola dopo tre giorni di combattimento. Non riuscì invece a espugnare il forte di Lardaro. Accampato con le sue truppe a Bezzecca, resistette a una battaglia durissima che prese il nome dalla località stessa, respingendo il nemico il 21 e prendendo il forte il 22. La via per Trento era libera. Ma il 9 agosto giunse quel telegramma con l'ordine di evacuare il Trentino per l'armistizio. Del resto, nel contesto della terza guerra d'indipendenza, dopo la sconfitta di Custoza del 24 giugno, e quella di Lissa del 20, in parte compensate dalla vittoria dell'alleata Prussia il 3 luglio a Sadowa, solo Garibaldi con la vittoria a Bezzecca era riuscito a onorare la bandiera, anche se a un prezzo altissimo; il numero di caduti supero quello del nemico e il comando dell'esercito regio dovette in tutta fretta chiedere un armistizio agli austriaci che imposero la restituzione delle zone conquistate dal condottiero infrangendo il suo sogno.

L'8 agosto dalla capitale d'Italia, che era allora Firenze, il consiglio dei ministri prendeva atto che, in riferimento all'avanzata italiana in Trentino, la Prussia non avrebbe rotto il suo armistizio per sostenere il nostro e così il generale Alfonso La Marmora aveva scritto a Garibaldi affinché per ordine del re le sue truppe rientrassero dalle frontiere del Tirolo. Una doccia fredda. Le cronache raccontano che, di primo acchito, il generale distrusse il dispaccio e che poi non vide altra scelta che obbedire. II famoso telegramma fu trascritto da un telegrafista che vi appose in calce il nome del mittente: G. Garibaldi. Ed e proprio questa risposta, che, in alcune pubblicazioni e mostre pubbliche, è stata al centro di discussioni poiché erroneamente attribuita a Garibaldi. Lo rileva in particolare uno studioso, ricercatore e noto collezionista dell'universo garibaldino, Leandro Mais. Mentre il telegramma che reca la firma autografa è oggi conservato all'Archivio centrale di Stato di Roma, la trascrizione che La Marmora sottopose al re Vittorio Emanuele II, con la risposta di Garibaldi, è conservata all'Archivio di Stato di Torino; e, in fine, la ricevuta del telegramma arrivato al Comando, trascritta da un volontario, che riporto in calce il nome del mittente G. Garibaldi, è custodita a Roma presso l'Ufficio storico dell'Esercito. E quest'ultimo documento che è stato in più di un'occasione erroneamente scambiato per l'originale e riportato, per il centenario della battaglia di Bezzecca, in una lapide all'interno dell'omonimo edificio comunale; o ancora la "falsa" firma di Garibaldi, o meglio la trascrizione del suo nome, è stata utilizzata - precisa Mais nelle sue analisi - in un suo studio nella copertina della mostra dei cimeli garibaldini organizzata a Roma dal Circolo delle Forze Annate al Palazzo Barberini, nel 1982. Dal 22 al 25 luglio Garibaldi consumo la possibilità di arrivare a Trento, aveva troppe poche unita ma si poteva unire all'avanzata del'generale Giacomo Medici in Valsugana che, in due giorni, sarebbe potuta arrivare insieme alla divisione di Enrico Cosenz, raggruppando cosi cinquantamila uomini. II comandante della divisione austriaca schierata nel Tirolo italiano aveva indicato come non difendibile la linea di frontiera e si preparava alla ritirata per difendere Trento. La tregua giunse inaspettata il 25 luglio, per otto giorni, firmata da Italia e Austria e poi prorogata al 10 agosto. Ma tutto si chiuse prima, il 9, con quel telegramma. Nei mesi successivi Garibaldi giunse a Padova, dove assistette, dal palco d'onore del Sociale, all'Amleto di Shakespeare recitato da Ernesto Rossi e appena realizzato per Vittorio Emanuele II. In ricordo del passaggio del condottiero due anni dopo il fatidico Amleto, il teatro cambia nome in suo onore. Ma torniamo al 1866: la pace di Vienna fu sancita il 3 ottobre con l'acquisizione da parte dell'Italia del Veneto, consegnato a Vittorio Emanuele II, da Napoleone III che l'aveva ricevuto dall'Austria come compenso della neutralità francese. II re torno a Padova il 16 novembre. In stazione fu accolto dal saluto del podestà che ricambio, dicendo: «Mi sembra di ritornare a casa mia perche mi considero cittadino di Padova». Per il suo arrivo la città entro in festa, bandiere sugli edifici, teatri aperti, il Nuovo, il Sociale, il Concordi, stemmi delle città italiane lungo viale Codalunga, e il Salone del Palazzo della Ragione maestosamente illuminato.

In piazza delle Erbe ad accoglierlo uno spazio celebrativo con diversi cannoni esposti, un altare della Patria composto da bandiere e una colonna della Vittoria in cartongesso. Per approfondire gli anni del Risorgimento che vanno dalla caduta della Repubblica di Venezia nel 1797 sino all'annessione nel 1866 del Veneto al Regno d'Italia, esiste, a fianco del Piano Nobile nello stabilimento Pedrocchi dello storico caffè, di fondamentale importanza in epoca risorgimentale, il Museo del Risorgimento e dell'Eta Contemporanea di Padova. Al suo interno si trova una ricca documentazione sui fatti e i protagonisti di un secolo e mezzo di storia padovana e nazionale, poiché si arriva al primo gennaio del 1948 con la promulgazione della Costituzione italiana. Anni in cui Padova ha spesso un ruolo di rilievo, se non da protagonista. II caffè Pedrocchi, la cui apertura al pubblico risale al1831, dove gli studenti potevano leggere Gazzette e opuscoli clandestini, non poteva che esserne la sede perfetta; 1'8 febbraio del 1848 gli studenti del vicino Ateneo insorsero contro gli austriaci, avvenimento che fu premessa della prima guerra d'indipendenza, e in Europa dell'inizio di moti rivoluzionari e popolari.

Nella Sala Bianca Ie tracce dei colpi sparati dagli austriaci agli studenti asserragliati sono visibili sulle pareti. Un periodo singolare il Risorgimento in cui, decaduto il dominio di Venezia sulla terraferma, il territorio padovano si ritrovo percorso da truppe austriache e francesi, saccheggiato dalle seconde, irreggimentato dalle prime «... che non pensano che a far caserme per i soldati» si scriveva all'epoca. A Padova in quegli anni, in palazzi, piazze, teatri, transitarono i protagonisti delle occupazioni, delle guerre d'indipendenza, del Risorgimento, da Napoleone a Francesco Giuseppe, da Vittorio Emanuele II a Garibaldi. Ma la città fu protagonista anche in seguito, negli anni della Grande Guerra, come sede del Comando Supremo e delle missioni alleate e con la firma dell'armistizio di Villa Giusti il 3 novembre 1918. I documenti conservati aiutano a comprendere l'atmosfera che si respirava in quegli anni, nel corso di quegli avvenimenti, fino al periodo fascista: le immagini di Benito Mussolini a Prato della Valle il24 settembre del 1938; le tredici medaglie doro al Valor Militare a testimonianza della nobile partecipazione dei cittadini padovani al secondo conflitto mondiale; la medaglia d'oro assegnata, unico caso in Italia, all'Ateneo per il Valor Militare durante la Resistenza.


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Ritratto di Giuseppe Garibaldi, in un disegno dellepoca
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da "...Forse non tutti sanno che a Padova..." di Silvia Giorgi - Newton Comption editori